Il Tribunale Amministrativo della Regione Campania ha respinto i ricorsi presentati da alcune strutture laboratoristiche avverso la normativa in materia di riorganizzazione della rete ex DCA 109/2013 e ss.mm.ii.
Qui di seguito la Sentenza del TAR Campania:
Pubblicato il 11/10/2016
N. 04655/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02031/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. …….., integrato da motivi aggiunti, proposto da:
– omissis –
contro
Regione Campania in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Tiziana Taglialatela C.F. TGLTZN71A54F839E, con domicilio eletto in Napoli, via S.Lucia,81, presso gli uffici dell’Avvocatura regionale;
Commissario ad Acta per la Prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domicilia in Napoli, via Diaz, 11;
Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t. non costituito in giudizio;
Azienda Sanitaria Locale di Salerno, in persona del Direttore Generale p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Valerio Casilli C.F. CSLVLR57D28H703S, Walter Maria Ramunni C.F. RMNWTR50T08H703O, con domicilio in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R. Campania;
per l’annullamento
quanto al ricorso introduttivo,
del decreto della Regione Campania n.109/2013 avente ad oggetto il piano di riassetto della rete laboratoristica privata ai sensi del decreto commissariale n.55/2010;
quanto al primo ricorso per motivi aggiunti,
del decreto n. 45 del 4.07.2014 del Commissario ad Acta per la prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario Regione Campania avente ad oggetto l’approvazione del piano di riassetto della rete laboratoristica privata accreditata e l’allegato rete laboratoristica, e dei relativi atti attuativi;
quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti,
del decreto n. 8 del 16.02.2016 del Commissario ad Acta per la prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario Regione Campania avente ad oggetto la definizione per l’anno 2015 dei limiti di spesa con gli erogatori privati e del decreto n. 17 dell’8.03.2016 del Commissario ad Acta per la prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario Regione Campania avente ad oggetto l’approvazione del il piano di riassetto della rete laboratoristica privata accreditata e l’allegato rete laboratoristica, e dei relativi atti attuativi.
quanto al terzo atto di motivi aggiunti
del decreto commissariale n. 28 del 27 aprile 2016 avente ad oggetto l’approvazione del piano di riassetto della rete laboratoristica privata accreditata e l’allegato rete laboratoristica, e dei relativi atti attuativi;
quanto al quarto atto di motivi aggiunti
del decreto commissariale n. 83 del 26 luglio 2016 avente ad oggetto l’approvazione del piano di riassetto della rete laboratoristica privata accreditata e l’allegato rete laboratoristica, e dei relativi atti attuativi.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, del Commissario ad Acta per la Prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario Regione Campania e dell’Azienda Sanitaria Locale di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Data per letta nella camera di consiglio del 28 settembre 2016 la relazione del consigliere Paolo Corciulo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A seguito di quanto previsto dall’art.1, comma 796, lettera o) della legge n. 296 del 2006, che affidava alle Regioni il compito di approvare entro il 28 febbraio 2007 un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private eroganti in regime di accreditamento prestazioni specialistiche e di laboratorio, venivano in sede nazionale elaborati i criteri direttivi di riferimento, poi confluiti nell’accordo Stato-Regioni del 23 marzo 2011.
In Campania, quanto alla medicina di laboratorio, con decreto commissariale n. 55 del 30 settembre 2010 si procedeva al riassetto della rete laboratoristica delle strutture pubbliche, quindi con decreto n. 109 del 19 novembre 2013 a quella delle strutture private.
Il Piano di riassetto approvato con tale ultimo provvedimento muoveva dal presupposto per cui, in Campania, esisteva un elevato numero di strutture di laboratorio, che, sebbene avessero assicurato un’idonea distribuzione territoriale del servizio, per le limitate dimensioni di molte di esse, si rilevavano in controtendenza rispetto ad esigenze di adeguamento tecnologico comportante nuove e maggiori spese, idonee ad incidere in senso sfavorevole sul costo delle prestazioni e, quindi, sul sistema tariffario; pertanto, si assumevano come criteri fondanti la riorganizzazione del servizio, che si qualificava ricadente nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, sia l’individuazione di una soglia minima di efficienza, sia l’incidenza dell’evoluzione tecnologica, soprattutto avuto riguardo alla branca della patologia clinica.
Relativamente al modello organizzativo, il Piano distingueva all’interno delle prestazioni di laboratorio tre fasi, la prima, definita “preanalitica”, in cui si sarebbe proceduto all’accoglienza del paziente ed all’esecuzione della preparazione dei campioni biologici, la seconda, denominata “analitica”, in cui dopo l’accettazione dei campioni sarebbe stata eseguita l’analisi e la validazione dei risultati, l’ultima, nominata “post analitica”, dedicata alla consegna del referto. Di rilievo era, dunque, rispetto al precedente modello, definito “monadico”, un nuovo assetto organizzativo incentrato sulla centralizzazione della fase analitica presso un unico laboratorio, ritenuto responsabile rispetto al S.S.R., potendo invece le altre due fasi essere affidate alle strutture di laboratorio già presenti sul territorio. Tale modello “a rete” veniva qualificato come l’unico compatibile con i requisiti di autorizzazione ed accreditamento previsti dall’attuale normativa regionale.
Il laboratorio centralizzato del modello di rete avrebbe potuto eseguire tutte le prestazioni della branca di medicina di laboratorio, previo aggiornamento del regime autorizzatorio e del titolo di accreditamento, in esito ad attività di adeguamento dei requisiti strutturali e funzionali rispetto ai nuovi carichi di lavoro; il titolare dell’aggregazione sarebbe stato il soggetto giuridico con cui l’ASL territorialmente competente avrebbe stipulato il contratto, potendo ciascuna struttura, ove in possesso della soglia minima di efficienza, sia mantenere invariata la propria attività organizzativa e di erogazione delle prestazioni, sia decidere di partecipare ad una rete, conservando le sole attività di fase preanalitica e post analitica.
La soglia minima di efficienza, al di sotto della quale non sarebbe stata consentita la sottoscrizione del contratto, veniva calcolata in 200.000 prestazioni annue, per laboratori di base con settori specializzati, ridotte a 70,000 in fase di prima applicazione del nuovo regime, da parametrarsi alla media di esami di laboratorio eseguiti dalla singola struttura negli ultimi cinque anni precedenti al 31 dicembre 2012; il calcolo veniva operato in base al criterio della Prestazione Equivalente (PEQ), valore ottenuto dividendo il fatturato complessivo della struttura– comprensivo sia delle prestazioni con oneri a carico del SSR sia di quelle erogate a privati – siano esse persone fisiche o giuridiche – per il costo medio di tutte le prestazioni di laboratorio.
Il procedimento di riorganizzazione per le strutture con volume di prestazioni inferiore alla soglia minima di efficienza, si articolava in tre fasi; entro 180 giorni dalla pubblicazione del provvedimento commissariale avrebbe dovuto essere dichiarato l’intento di aggregarsi; quindi, dal 181° al 365° giorno occorreva procedervi concretamente ed entro due anni avrebbe dovuto essere raggiunto il livello di standard minimo.
Le forme giuridiche di aggregazione sarebbero state quelle previste dal Codice Civile – specificamente A.T.I., società consortili e consorzi – avendo cura il provvedimento di specificare che “le aggregazioni non devono rappresentare un meccanismo strumentale di permanenza nel sistema, ma devono esprimere una reale riorganizzazione in chiave di efficientamento funzionale, qualità e sicurezza dell’offerta al cittadino”.
In ogni caso, si stabilivano ipotesi di deroga per realtà territoriali specifiche, quali piccole isole e comunità montante isolate.
Infine, dopo aver disciplinato i rapporti interni alle singole aggregazioni e le ipotesi di recesso e ricollocazione del laboratorio nel mercato, in altra forma associativa o uti singulus, il decreto commissariale definiva i nuovi requisiti strutturali e funzionali dei laboratori.
Il cronoprogramma indicato nel provvedimento commissariale n. 109 del 19 novembre 2013 veniva differito rispettivamente alle date del 30 novembre 2014, 31 maggio 2015 e 30 aprile 2016 con decreto commissariale n. 45 del 4 luglio 2014, in considerazione dei tempi di attesa della definizione del procedimenti di accreditamento di alcuni laboratori, al fine di non espungerli ingiustificatamente dal sistema di riassetto; con il medesimo provvedimento si calcolava il costo della Prestazione Equivalente in €4,81 e si procedeva alla nomina di un gruppo di lavoro al fine di controllare, verificare e dare indirizzi sulla corretta esecuzione del decreto n. 109 del 19 novembre 2013.
A seguito della nota del Ministero della Salute n. 11669 del 16 aprile 2015, emanata a causa dell’applicazione disomogenea della nuova disciplina nelle varie Regioni, soprattutto in quelle in cui era in corso un piano di rientro dal disavanzo, l’autorità commissariale adottava il decreto n. 59 del 29 maggio 2015 con cui, approvando nuove linee guida, introduceva ulteriori disposizioni per la disciplina dei service di laboratorio, differendo anche in questo caso i tempi procedimentali per il riassetto del sistema. In particolare, il service, ossia la possibilità di conferire campioni biologici per l’esecuzione di analisi a laboratori diversi da quello a cui afferisce l’utente, poteva essere consentito per i laboratori accreditati solo verso altre strutture accreditate, pubbliche o private, mentre per i laboratori autorizzati l’affidamento poteva avvenire in favore di altre strutture, sia accreditate che solo autorizzate; riguardo alle aggregazioni, che non potevano avere una durata eccedente i quattro anni onde evitare l’acquisizione di posizioni dominanti, se ne limitava l’ambito di operatività al solo territorio regionale, introducendosi, inoltre, limiti di partecipazione in altre aggregazioni, nonché divieti di partecipazione per soggetti economici diversi dalle strutture di laboratorio. Infine, oltre a ricalcolarsi il costo della Prestazione Equivalente a €4.48, il decreto consentiva a fini dell’aggiornamento delle autorizzazioni, in deroga al regime di cui alla D.G.R.C. n. 7301/01, il ricorso alla segnalazione certificata di inizio attività, in considerazione dell’alto numero di pratiche da evadere e del fatto che comunque si era in presenza di strutture già in possesso di autorizzazione e di titolo di accreditamento.
Con decreto commissariale n. 17 dell’8 marzo 2016 si procedeva all’approvazione di rilevanti modifiche alla disciplina del nuovo sistema organizzativo, come indicate dal gruppo di lavoro nominato con il decreto commissariale n. 59 del 29 maggio 2015; in particolare, si escludeva il ricorso all’istituto della segnalazione certificata di inizio attività per l’aggiornamento delle autorizzazioni; inoltre, le strutture con soglia minima di efficienza inferiore a 70.000 prestazioni, che non avessero ancora manifestato l’intendimento di aggregarsi, avrebbero dovuto comunicare all’amministrazione sanitaria entro il 15 aprile 2016 l’avvenuta aggregazione, sotto comminatoria di revoca dall’accreditamento istituzionale: ancora, per le strutture di aggregazione e per quelle da riconvertire veniva introdotto l’obbligo di presentare entro il 15 aprile 2016 istanza di autorizzazione all’esercizio, rispettivamente della sede analitica e di quelle pre e post analitica, nonché nuova istanza di accreditamento, precisando che entrambi tali titoli non sarebbero stati più riferiti a tutte le prestazioni della branca di medicina di laboratorio, ma solo a quelle già indicate nei rispettivi decreti autorizzativi e nei titoli di accreditamento in possesso delle singole strutture appartenenti all’aggregazione. I laboratori riconvertiti per le attività pre e post analitica non avrebbero più potuto essere adibiti ad attività analitica ed il nuovo termine per il raggiungimento dello standard di efficienza di 200.000 Prestazioni Equivalenti veniva differito al 31 ottobre 2017.
Inoltre, con decreto n. 28 del 27 aprile 2016 il commissario individuava per ciascuna ASL di competenza le deroghe alle soglie minime di efficienza per tale strutture di laboratorio esistenti in aree disagiate, nonché, in esecuzione di decreto cautelare del Presidente di questo Tribunale n. 575 del 2016 differiva di sei mesi il termine in scadenza al 15 aprile 2016 di cui al decreto 17 dell’8 marzo 2016, ed al 31 dicembre 2017 quello di conclusione delle procedure attuative di aggregazione di raggiungimento della soglia standard minima di efficienza.
Con decreto n. 83 del 26 luglio 2016 il commissario ha introdotto alcune ulteriori modifiche alla disciplina di cui al precedente decreto n. 109 del 2013, in particolare consentendo il ricorso alla segnalazione certificata di inizio attività, sia per l’autorizzazione all’esercizio degli HUB (laboratori che svolgono attività analitica), sia per gli Spoke (strutture che si interessano delle attività di pre e post analisi); tanto, in base alla considerazione per cui si tratta di strutture in precedenza già autorizzate ed accreditate, i cui titoli abilitativi originari ben avrebbero potuto essere sostituiti da una segnalazione certificata di inizio attività a fini di semplificazione e snellimento delle procedure di verifica, in vista dell’osservanza dei tempi di entrata a regime del nuovo sistema. Il provvedimento stabiliva, inoltre, che il rilascio di nuova autorizzazione all’esercizio sarebbe stata prevista solo per gli HUB da realizzare ex novo e nei casi in cui tale funzione fosse stata svolta presso una delle strutture aggregate, senza che ciò potesse comportare anche modifiche sostanziali; l’autorizzazione, relativamente agli Spoke avrebbe dovuto sempre essere richiesta, ove la trasformazione richiedesse il trasferimento in altra sede, comunque all’interno del medesimo distretto, e per tale più ridotta funzione.
Avverso il decreto commissariale n. 109 del 19 novembre 2013 ha proposto ricorso a questo Tribunale la Check Up Analisi Cliniche di Maggiora Andrade Fonseca Nelida Do Rosario Castaldo Rosita & C. s.a.s. chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari.
Si sono costituiti in giudizio la Regione Campania ed il Commissario ad acta per la prosecuzione del Piano di Rientro, concludendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare.
Alla camera di consiglio del 30 aprile 2014 la causa è stata cancellata dal ruolo delle cautelari e all’udienza pubblica del 16 luglio 2014 dal ruolo di merito.
Con un primo atto di motivi aggiunti, depositato il 17 novembre 2014, parte ricorrente ha impugnato il decreto commissariale n. 45 del 4 luglio 2014, chiedendo anche l’adozione di idonee misure cautelari.
Alla camera di consiglio del 3 dicembre 2014 la causa è stata cancellata dal ruolo delle cautelari.
Si è costituita in giudizio la Regione Campania.
Con un secondo atto di motivi aggiunti, da valere anche come ricorso autonomo per gli altri soggetti ricorrenti Analisi Cliniche Biogen del dott. Antonio Castaldo & C. s.a.s.; Laboratorio Analisi Cliniche Milano s.r.l., Biocava s.a.s. di Aliberti P. & C.; Analisi Cliniche La Salute s.a.s.; Diagnostica Grimaldi s.a.s.; Micron s.r.l., spedito per la notifica e depositato in data 14 aprile 2016, sono stati impugnati il decreto commissariale n. 8 del 16 febbraio 2016, avente ad oggetto i limiti di spesa per il 2015 per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, il citato decreto commissariale n. 17 dell’8 marzo 2016, nonché la circolare del commissario n. 403/C del 2 febbraio 2016, di introduzione del tetto di spesa per struttura su base mensile, con esclusione delle prestazioni eccedenti il dodicesimo del budget annuale.
Si è costituita in giudizio la Regione Campania.
Con decreto presidenziale n. 581 del 14 aprile 2016 è stata accolta la domanda di misure cautelari in sede monocratica, limitatamente ai tempi di realizzazione del riassetto della rete laboratoristica.
Il 4 maggio 2016 la causa è stata sia cancellata dal ruolo della camera di consiglio per la trattazione cautelare dei motivi aggiunti, oltre che da quello dell’udienza pubblica per la trattazione di merito delle restanti domande.
Con un terzo atto di motivi aggiunti, spedito per la notifica il 1° luglio 2016 e depositato il 29 luglio 2016 i ricorrenti Check Up Analisi Cliniche di Maggiora Andrade Fonseca Nelida Do Rosario Castaldo Rosita & C. s.a.s. Analisi Cliniche Biogen del dott. Antonio Castaldo & C. s.a.s., Analisi Cliniche La Salute e Micron s.r.l. hanno impugnato il decreto commissariale n. 28 del 27 aprile 2016.
Con un quarto atto di motivi aggiunti, depositato il 6 settembre 2016, è stato infine dai i ricorrenti Check Up Analisi Cliniche di Maggiora Andrade Fonseca Nelida Do Rosario Castaldo Rosita & C. s.a.s. Analisi Cliniche Biogen del dott. Antonio Castaldo & C. s.a.s., Analisi Cliniche La Salute e Micron s.r.l. impugnato il decreto commissariale n. 83 del 26 luglio 2016, con contestuale domanda di adozione di idonee misure cautelari.
Si sono costituiti in giudizio la Regione Campania e la ASL di Salerno.
Alla camera di consiglio del 28 settembre 2016 fissata per la trattazione della domanda cautelare – previa cancellazione del giudizio dal ruolo dell’udienza pubblica nella quale era già fissato per lo scrutinio di merito – il Presidente, rese edotte le parti della possibilità che fosse ritenuta la sussistenza di tutti i presupposti per l’adozione di una sentenza ex art. 60 c.p.a., ha posto la causa in decisione.
DIRITTO
Rileva preliminarmente il Collegio che sussistono i presupposti per l’adozione di una sentenza ex art. 60 c.p.a., in considerazione dell’integrità del contraddittorio, della mancata opposizione delle parti e della circostanza della avvenuta iscrizione del giudizio sul ruolo di plurime udienze pubbliche.
Osserva quindi il Collegio che la controversia impone, entro i limiti delle censure proposte, una complessiva verifica di legittimità del nuovo assetto organizzativo della rete laboratoristica regionale, così come risultante dal succedersi dei provvedimenti impugnati.
Al riguardo, prima di procedere all’esame degli specifici motivi di doglianza, occorre operare alcune preliminari premesse argomentative.
Innanzitutto, va evidenziato come tra tutti i decreti commissariali richiamati esista uno stretto rapporto di sequenzialità temporale, caratterizzato da identità di oggetto, tutti contenendo specifici precetti regolativi della nuova disciplina organizzativa della rete dei laboratori, alcuni a contenuto meramente confermativo, altri modificativi, anche in misura consistente, di determinate prescrizioni inerenti alle modalità di accesso al nuovo regime.
Ne discende che, anche in ragione dell’opportunità di procedere nella misura più ampia possibile ad uno scrutinio nel merito del thema decidendum, salve ipotesi di insuperabile relazione antinomica tra specifiche statuizioni presenti nei vari decreti, tale da non poter ritenere più effettivamente utile per l’interesse di parte l’accertamento della legittimità di una disposizione concretamente non più attualmente regolativa della fattispecie, ritiene il Collegio di prescindere da qualsiasi ragione processuale di improcedibilità o tardività del ricorsi e dei motivi aggiunti che dimensionano la complessiva l’azione di annullamento intrapresa.
In secondo luogo, non può mancare di rilevare il Collegio come oggetto di lite sia la legittimità di atti e provvedimenti di programmazione e di macroorganizzazione, categoria rispetto alla quale l’obbligo di motivazione è inesistente o comunque decisamente attenuato; aggiungasi che l’elevato contenuto discrezionale della funzione scrutinata impone a questo Tribunale di escludere la possibilità di giudicare di scelte e determinazioni le censure avverso le quali consistono in questioni afferenti ai risultati dell’azione amministrativa di organizzazione e pianificazione in termini di buon andamento, assumendo tale verifica i caratteri di un inammissibile sindacato di merito.
In terzo luogo, va condiviso l’approdo a cui è giunta la giurisprudenza più recente circa la doverosità di procedere al riassetto della rete dei laboratori come obiettivo primario di contenimento della spesa e di miglioramento della qualità prestazionale, soprattutto in situazioni – come la Regione Campania – interessate da piani di rientro dal disavanzo; il Collegio, invero, aderisce alla considerazione per cui la «doverosità di conseguire – anche attraverso aggregazioni – le soglie fissate (che dunque costituivano un’indicazione preesistente, che sottolinea il carattere di “adempimento” che la loro adozione ha avuto) era un fatto già definito tanto in sede nazionale che regionale e rispondeva alle necessità di una razionalizzazione del sistema anche a fini di contenimento della spesa pubblica. Ne consegue che la censura dei ricorrenti in ordine alla pretesa incompetenza è infondata, dovendosi appunto ritenere che i provvedimenti adottati abbiano costituito (anche nel loro complesso, in quanto diretti a definirne tutti i presupposti indispensabili) il “necessario ed indifferibile” momento di “avvio” del processo rivolto a rendere possibile il raggiungimento delle soglie minime di prestazione fissate e siano stati dunque provvedimenti sotto questo profilo giustificati dai presupposti (necessità appunto e indifferibilità) che legittimavano l’azione dell’Assessore» (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana 31 maggio 2016 n. 157; T.A.R. Sicilia Palermo sez. III, 29 maggio 2015 n. 1274; TAR Sicilia Palermo Sezione I, 3 dicembre 2013 n. 2343).
Pertanto, in linea generale, può ritenersi che tutti i profili di discrezionalità censurati in questa sede possono senz’altro ritenersi, in un certo senso, ispirati a tale doverosità di provvedere nel cui solco devono essere propriamente scrutinati.
Infine, attesa la complessità e l’intreccio della numerose questioni sollevate, per esigenze di completezza della presente decisione, l’esposizione dell’esame dei motivi di ricorso seguirà analiticamente la puntuale illustrazione dei profili di doglianza così come esposti in ogni capo di censura.
Passando all’esame nel merito delle censure, con il ricorso introduttivo è stato impugnato il DCA n.109 del 19 novembre 2013, contenente l’originaria regolazione del nuovo assetto organizzativo.
In particolare sono stati proposti tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo parte ricorrente, pur convenendo sulla necessità di introdurre una soglia minima di efficienza, ha contestato la mancata fissazione di un termine congruo per l’aggregazione delle strutture che si trovino al di sotto di tale livello.
Tale censura, oltre ad essere connotata da inammissibilità per genericità, mancando l’indicazione di concrete ragioni di inidoneità dei termini di adeguamento per l’ingresso nel nuovo regime, si rivela anche improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, non potendo il riferimento fattuale che riferirsi ai soli termini indicati al Punto 4) del Piano approvato con il decreto impugnato, come tali non più attuali, siccome prorogati e sostituiti da cronoprogrammi di epoca successiva.
Con la seconda censura viene dedotto che l’art.1, comma 796, lettera o) della legge n. 296 del 2006 aveva stabilito che le Regioni approvassero il piano di riorganizzazione della rete dei laboratori pubblici e privati entro il 28 febbraio 2007, cioè prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande di accreditamento, fissato per il 31 dicembre 2007, mentre il decreto commissariale impugnato è stato pubblicato solo il 13 gennaio 2014, determinando così che la soglia minima di efficienza fosse un nuovo requisito di accreditamento operante in modo retroattivo rispetto ai procedimenti di accreditamento ormai conclusi; inoltre, il nuovo assetto non assicurerebbe alcuna riduzione della spesa, tenuto conto che le analisi di laboratorio hanno un costo determinato da tariffe prestabilite; anzi, l’esecuzione del decreto commissariale impugnato comporterebbe l’aggravamento della spesa sanitaria a causa dell’incremento del tasso di disoccupazione degli operatori del settore, conseguente ai notevoli esuberi di personale che ne deriverebbero; infine, il nuovo sistema non migliorerebbe affatto l’efficienza della prestazione, già esistendo a tal fine adeguate misure di controllo interno ed esterno. Mancherebbe, infine, un regolamento sulle modalità operative del service e del trasporto dei campioni.
Il motivo non é meritevole di accoglimento.
Invero, quanto alla prima contestazione, va osservato come la legge statale non abbia qualificato il termine del 28 febbraio 2008 come perentorio o in qualche modo decadenziale; va altresì considerato che la funzione organizzativa pubblica è immanente, ai sensi dell’art. 97 della Carta Costituzionale, anche quando assume i caratteri propri della eteroorganizzazione di soggetti privati che in regime di concessione svolgono compiti di servizio pubblico, qual è quello sanitario; né pregio ha la contestata posteriorità del nuovo assetto della rete laboratoristica rispetto alla conclusione dei procedimenti di accreditamento delle singole strutture, atteso che l’invocata coerenza con la ricognizione del fabbisogno di prestazioni – valore comunque connotato da un elevato carattere di dinamicità anche nel breve periodo – non ne impone affatto l’indefettibile anteriorità; del resto, non può ritenersi che la soglia minima di efficienza stabilita nel decreto impugnato operi come un illegittimo requisito retroattivo di accreditamento; invero, oltre a ritenersene “l’ulteriorità” rispetto a quelli già previsti nelle fasi di accreditamento, va considerato che il nuovo assetto di rete costituisce un aliquid novi dal punto di vista organizzativo del servizio sanitario, come tale pienamente legittimante nuovi requisiti di accesso, non già retroattivi, ma incardinati in un sistema destinato ad operare per l’avvenire.
Le restanti questioni proposte nel secondo motivo, in considerazione di quanto esposto in premessa, devono ritenersi inammissibili, in quanto sottendono un sindacato esteso ad aspetti del potere discrezionale da compiersi non già in termini di criticità proprie del formarsi della decisione, quanto da parametrarsi ai risultati della scelta organizzativa e quindi al merito dell’azione.
Rileva comunque il Collegio che rimane ferma, invece, l’ammissibilità di altri profili di doglianza che presuppongono la violazione di specifici diritti costituzionalmente garantiti – quindi qualificabili sin d’ora come ipotesi di violazione di legge o di eccesso potere per illogicità manifesta – che sono stati proposti come autonomi motivi di impugnazione contenuti in successivi atti di motivi aggiunti relativi a decreti commissariali di epoca posteriore, ma comunque facenti parte del medesimo disegno di riorganizzazione, e che saranno oggetto di puntuale delibazione nello sviluppo argomentativo della presente decisione, seguendo, come da premessa, l’ordine progressivo imposto da parte ricorrente
Va respinta l’ultima argomentazione contenuta nel secondo motivo, non avendo parte ricorrente rappresentato perché la contestata mancanza parziale di disciplina – tra l’altro in ampia parte colmata con i decreti successivi – costituirebbe ragione di illegittimità dell’intero contenuto precettivo del decreto commissariale impugnato.
Con il terzo motivo del ricorso introduttivo la nuova disciplina è contestata sotto quattro aspetti: innanzitutto, è avversata l’unicità del modello di aggregazione in quanto eccessivamente limitativo della libera scelta dell’imprenditore sanitario, sotto il profilo della capacità di autoorganizzazione aziendale; in secondo luogo, non sarebbero stati motivati i parametri di calcolo della soglia minima di efficienza e della PEQ; ancora, mancherebbe una disciplina transitoria finalizzata ad un ottimale adeguamento ai nuovi criteri di organizzazione; infine, non si sarebbe tenuto conto, a fini di possibile deroga, di situazioni particolari come quella della ricorrente che nel 2011 si è trasferita in un territorio disagiato, con inevitabili ed all’epoca imprevedibili difficoltà di ottenere una più elevata cifra prestazionale, tale da consentirle di raggiungere la soglia minima di efficienza per conservare l’autonomia.
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, il modello di aggregazione non è unico, ma plurime sono le possibili soluzioni organizzative che la nuova disciplina, quale risultante dal complesso dei decreti commissariali che ne costituiscono la fonte, consente di utilizzare; invero, già il decreto n. 109 del 13 novembre 2013, ferma restando la formale aggregazione per chi non avesse raggiunto la soglia minima di efficienza, consentiva tutte le forme di aggregazione previste dal Codice Civile, richiamando all’uopo le A.T.I., le società consortili ed i consorzi; del resto, non va dimenticato che, trattandosi di attività d’impresa, tra l’altro costituente esercizio di un pubblico servizio, non è impedito, nel primo caso, al legislatore ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, nel secondo, all’amministrazione, quale soggetto titolare di compiti di eteroorganizzazione ai sensi dell’art.97 della Carta, di conformare il diritto di libera iniziativa economica del privato limitandone l’esercizio a forme e modalità determinate, anche dal punto di vista della configurazione soggettiva e dell’organizzazione aziendale. Con riferimento all’omessa motivazione dei criteri di organizzazione, è sufficiente ricordare che, trattandosi di provvedimenti di carattere programmatorio e quindi generale, uno specifico obbligo in tal senso è escluso dall’art. 13 della legge 7 agosto 1990 n. 241; in ogni caso, ove riferita al valore della Prestazione Equivalente, la censura è improcedibile per carenza di interesse, risultando tale elemento essere stato in concreto stabilito con i successivi decreti commissariali n. 45 del 4 luglio 2014 e 59 del 29 maggio 2015, da ritenersi alla stregua di atti applicativi. Non ha poi pregio la censura afferente alla mancata indicazione di una disciplina transitoria, atteso che il ripetuto differimento dei termini di adeguamento concessi alle strutture e la fissazione di un’iniziale soglia minima di efficienza pari a 70.000 prestazioni, rispetto a quella ben più elevata fissata a regime di 200.000 prestazioni, rappresentano una sostanziale disciplina transitoria per un meno rigido impatto delle strutture esistenti con il nuovo regime organizzativo.
Per quanto concerne, infine, la mancata derogabilità al limite minimo di efficienza per la struttura ricorrente, la cui recente attività di produzione è diminuita negli ultimi anni a causa di un trasferimento dal Comune di Angri in quello meno popoloso di Nocera Superiore, va evidenziato che il decreto commissariale impugnato prevede espressamente deroghe su richiesta della struttura interessata in presenza di situazioni specifiche, purchè queste vengano adeguatamente motivate e documentate; va aggiunto che, trattandosi di una riorganizzazione volta proprio a superare l’attuale condizione di frammentazione dei laboratori a livello territoriale, del tutto ragionevolmente il decreto commissariale gravato limita ogni possibile eccezione alla soglia minima di efficienza alla ricorrenza di situazioni logistiche in cui la difficoltosa configurazione del territorio (piccole isole e comunità montane geograficamente isolate e con rete viaria carente) impone, quale obiettivo di efficienza del servizio sanitario, la conservazione dell’offerta di laboratori preesistente; in altri termini, solo in ragione di una specifica condizione oggettiva di sfavorevole ubicazione della struttura è possibile derogare al principio di aggregazione, mentre, essendosi in presenza di scelte di macroorganizzazione, nessuna prevalenza può essere riconosciuta a condizioni e vicende soggettive ascrivibili alla sola struttura erogatrice rispetto all’interesse pubblico generale al superamento di un assetto distributivo della rete laboratoristica ritenuto non più idoneo ad assicurare un soddisfacente livello qualitativo del servizio sanitario.
Passando all’esame del primo atto di motivi aggiunti, va evidenziato che lo stesso ha ad oggetto il decreto n. 45 del 4 luglio 2014.
Con il primo motivo aggiunto è contestato il criterio di individuazione del costo medio della prestazione di laboratorio, calcolato in € 4,81, costituito dal rapporto tra fatturato complessivo di tutti i laboratori nel triennio 2010/2012 e numero di prestazioni erogate; invero, obietta parte ricorrente che in tal modo non si tiene conto della specificità tipologica dei laboratori generali di base e dei settori specializzati come invece accade nella normativa generale; di conseguenza, il costo medio risulta quasi doppio rispetto a quello delle strutture di laboratorio della categoria A, ossia laboratorio di base con o senza settori specializzati A1 e A2, pari a €2,57. Ancora, il criterio della soglia minima di “attività” previsto dall’accordo Stato Regioni del 23 marzo 2011, che dovrebbe esaltare il solo dato numerico delle prestazioni, non corrisponde a quello di soglia minima di “efficienza” indicata dal commissario, esprimendo tale concetto, invece, un mero valore economico, come, del resto, confermato dalla neutralizzazione delle differenti categorie di prestazioni di laboratorio, attraverso la rilevanza assegnata a valori mediali.
Rileva il Collegio l’improcedibilità del motivo per sopravvenuta carenza di interesse, ove riferito all’entità in sé del costo medio della prestazione, atteso che il valore di €4,81 individuato nel decreto impugnato, risulta superato da quello nuovo e più favorevole di €4,48 stabilito dal decreto n. 59 del 29 maggio 2015,
E’ invece ammissibile la censura, nella parte in cui è avversato il criterio in sé del costo medio, sebbene la stessa sia infondata. Invero, la questione esige due differenti risposte.
Innanzitutto, ferma restando l’unicità della soglia minima di efficienza data, ossia 70.000 prestazioni in via transitoria e 200.000 prestazioni a regime, a tale omogeneità di parametro deve ragionevolmente corrispondere analogo criterio non differenziale di calcolo, tanto a salvaguardia di pari opportunità di accesso; diversamente, si rischierebbe di penalizzare strutture che nel triennio hanno erogato un minor numero di prestazioni di laboratorio, solo perché magari più costose o perché meno richieste dal mercato, nonostante queste richiedessero elevati standard di efficienza e più impegnativi requisiti strutturali e funzionali. E’ ovvio che, reciprocamente, le strutture che, a parità di fatturato, hanno erogato prestazioni di laboratorio con tariffe più basse, potranno subire dall’applicazione di un più alto costo medio, quale divisore del rapporto con il fatturato triennale di struttura, una contrazione del numero di prestazioni utili al raggiungimento della soglia; tuttavia, dal punto di vista processuale, non è allegato o dimostrato in concreto un simile pregiudizio come giustificativo dell’interesse a ricorrere, né tale effetto di compensazione rende di per sé irragionevole o ingiusta l’applicazione del criterio del costo medio della prestazione.
In secondo luogo, non è illegittima l’adozione da parte del commissario di un valore di soglia minima di efficienza o di attività che non sia limitato alla sola rilevanza del dato numerico delle prestazioni; invero, non solo non è rintracciabile in tal senso un vincolo siffatto, né nella normativa nazionale, né nell’accordo Stato Regioni del 23 marzo 2011, ma, a ben vedere, non si tratta di un dato economico puro, quale potrebbe essere il fatturato o valori di costo delle prestazioni, ma pur sempre di un valore numerico quantitativo delle prestazioni erogate, sebbene non già espressione del dato storico di prestazioni erogate sic et simpliciter, ma ricavabile da valori economici e mediali a fini di un ragionevole equilibrio nelle opportunità di accesso al nuovo sistema da parte di tutte le strutture.
Con il secondo motivo aggiunto è lamentata la violazione del diritto di libera iniziativa economica privata di cui all’art. 41 della Carta e del divieto di concorrenza; il nuovo sistema organizzativo confliggerebbe altresì con l’art. 32 della Carta, risultando vulnerato il diritto alla salute dei cittadini, costretti a rivolgersi alle poche strutture che residuerebbero in esito alla riorganizzazione, con lesione del diritto di libera scelta dell’assistito; infine, il criterio di accorpamento, in quanto esteso anche alle attività private di laboratorio di analisi, finirebbe per confliggere ancor più con il diritto di libertà iniziativa economica privata ed anche con l’art. 5 della legge 287/90, dando vita a posizioni dominanti di mercato.
La censura non è meritevole di accoglimento. Osserva il Collegio che l’art. 41 della Costituzione, dopo aver enunciato il principio di libera iniziativa economica privata, al terzo comma, affida alla legge il compito di adottare programmi e controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata sia indirizzata e coordinata a fini sociali; se ne deduce, secondo il dettato costituzionale, la piena conformabilità da parte della legge, anche a mezzo di consequenziali provvedimenti amministrativi di portata generale, sia del diritto d’impresa, sia di quello di esercizio di attività libero-professionale a fini di programmazione e controllo. L’art. 41 della Carta non costituisce, pertanto, un ostacolo al nuovo regime organizzativo, rifluendo ogni possibile questione inerente ad un pregiudizio per tale diritto costituzionale in profili di irragionevolezza delle scelte compiute in concreto dal legislatore o dall’amministrazione in fase di programmazione, in tal ultimo caso verificabile attraverso il parametro consueto della legittimità sostanziale dell’azione organizzativa intrapresa. Le considerazioni che precedono devono ritenersi comuni anche ad attività imprenditoriali e libero professionali che prescindono da una necessaria interrelazione con esigenze di finanza pubblica; invero, l’individuazione di limiti conformativi di cui all’art. 41 della Costituzione concerne l’attività economica privata in quanto tale, per cui una loro programmazione e regolamentazione da parte dell’autorità pubblica, purchè conforme ed ispirata ad esigenze di pubblico interesse, non sarà confliggente con il dato costituzionale; pertanto, anche prestazioni erogate non in regime di accreditamento, ma in ambito esclusivamente privatistico, possono costituire oggetto di uno specifico regime conformativo di programmazione ed eteroorganizzazione, come, del resto, pacificamente previsto non solo dal regime autorizzatorio generale, proprio delle attività sanitarie, in cui sono richiesti e verificati specifici standard di capacità di erogazione, ma anche dalla legge fondamentale di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, il cui art. 8 ter impone la pianificazione delle attività sanitarie a livello territoriale, prescindendo dal fatto che siano erogate con costi anche parziali a carico del Servizio Sanitario regionale.
Riguardo ad un possibile pregiudizio per il diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione derivante dal nuovo sistema organizzativo, osserva il Collegio che, oltre a restare indimostrata una minore qualità del servizio di medicina di laboratorio sotto il profilo di uno scadimento dell’attività analitica, relativamente alla posizione del paziente – sia come assistito del SSR, sia come soggetto privato – il mantenimento di strutture preesistenti con funzioni di spoke, cioè incaricate dello svolgimento di attività sia preanalitica, quali punti di prelievo dei campioni analitici, sia post analitica per la consegna dei referti, consente ragionevolmente di escludere qualsiasi vulnus per tale diritto fondamentale della persona, anche dal punto di vista del mero disagio o di un aggravamento delle condizioni di fruizione.
Con il terzo motivo aggiunto parte ricorrente ha nuovamente proposto la censura di mancata considerazione, quale ipotesi di deroga al principio generale di aggregazione, di specifiche condizioni soggettive di struttura, come la propria, costretta a trasferirsi nel periodo interessato (2011) da Angri a Nocera Superiore, zona carente, con incolpevole riduzione di attività e contrazione del fatturato; nel rilevare di avere comunque presentato all’autorità sanitaria istanza di deroga, tuttora rimasta priva di riscontro, parte ricorrente ha ribadito che, nonostante abbia operato in un settore territoriale difficile, ha comunque attualmente raggiunto il livello minimo di 70.000 prestazioni per un costo medio in linea con quelli previsti dalla normativa regionale.
La censura non è meritevole di accoglimento ed in proposito è sufficiente rinviare a quanto già esposto in occasione dell’esame del terzo motivo del ricorso introduttivo. Va aggiunto che la sussistenza di un’effettiva lesione attuale per le ragioni di parte ricorrente sarà valutabile soltanto una volta che l’istanza di deroga sarà stata esitata dall’amministrazione sanitaria in modo non satisfattivo.
Con il quarto motivo aggiunto è stata riproposta la censura secondo cui la tardività dell’adozione del piano di riassetto nella Regione Campania, rispetto al termine imposto dalla legge Finanziaria nazionale del 2007, avrebbe vanificato tutte le precedenti procedure di accreditamento istituzionale, configurando il nuovo requisito costituito dalla soglia minima di efficienza come una causa retroattiva di perdita dell’accreditamento.
La censura non è meritevole di accoglimento ed al riguardo è sufficiente rinviare a quanto già esposto in occasione dell’esame del secondo motivo del ricorso introduttivo.
Con il quinto motivo aggiunto è stata ribadita l’assenza di una disciplina transitoria, pur in presenza di una radicale modifica del sistema organizzativo della rete delle strutture di laboratorio, così come pure omessa sarebbe stata la regolamentazione delle ipotesi di mancato raggiungimento della soglia minima di 200.000 prestazioni al 30 aprile 2016 per coloro che ne avessero già 70.000, delle ipotesi di recesso dalle aggregazioni, della gestione autonoma ed operativa dei singoli consorziati e della modalità di contrattazione: inoltre, eccessivamente ridotti e quindi inadeguati sarebbero stati i termini procedimentali di adeguamento imposti dal decreto commissariale n. 45 del 4 luglio 2014; infine, sarebbe stato indispensabile portare a compimento tutte le procedure di accreditamento al fine di assicurare a tutte le strutture pari opportunità di accesso alla nuova organizzazione di sistema.
Anche tale censura non può trovare accoglimento.
Riguardo alla denunciata assenza di disciplina transitoria è sufficiente rinviare a quanto esposto in motivazione a proposito di analoga contestazione contenuta nel terzo motivo del ricorso introduttivo; inammissibile per carenza di interesse è poi la contestazione circa la mancata regolamentazione della condizione di coloro che pur in possesso di 70.000 prestazioni non raggiungerebbero nel periodo considerato la quota ordinaria a regime di 200.000 prestazioni, trattandosi di una situazione di futura evenienza ed in cui non è stato dimostrato si troverà certamente la società ricorrente, il cui interesse attuale è piuttosto riconducibile ad una capacità di erogazione nel triennio inferiore alla prima soglia fissata in via transitoria dalla nuova disciplina regionale. Osserva in senso più generale il Collegio che non sussistono convincenti ragioni per ritenere illegittima l’intera nuova disciplina precettiva, per il solo fatto che risulterebbero allo stato non regolamentate alcune situazioni, quali il regime interno delle aggregazioni e le modalità di contrattazione. Improcedibile è la contestazione relativa al cronoprogramma fissato dal decreto impugnato, in quanto sostituito da nuove scansioni temporali introdotte in successione dai decreti commissariali n. 59 del 29 maggio 2015, n. 17 dell’8 marzo 2016 e n. 28 del 27 aprile 2016. Quanto alla necessità prospettata di completare le procedure di accreditamento a fini di pari opportunità, tale esigenza è stata proprio quella che ha indotto l’autorità commissariale a differire i termini di adeguamento di cui al precedente decreto n. 109 del 19 novembre 2013.
Con il secondo atto di motivi aggiunti parte ricorrente ha impugnato il decreto commissariale n. 8 del 16 febbraio 2016, contenente la definizione dei limiti di spesa per l’anno 2015 per la specialistica ambulatoriale, nonché il decreto commissariale n. 17 dell’8 marzo 2016, avente ad oggetto il piano di riassetto della rete dei laboratori; oggetto di impugnazione sono stati anche la circolare commissariale n. 403/C del 2 febbraio 2016 ed atti connessi, in cui si assume che i contratti sottoscritti nel 2015 costituiscono base provvisoria per le prestazioni del 2016 e sono riferibili a valori di spesa per struttura e su base mensile.
Al riguardo, sono stati proposti otto motivi di impugnazione.
Con la prima censura si dubita dell’esistenza di una fonte primaria che avrebbe consentito al commissario di imporre l’aggregazione dei piccoli laboratori, comportante la violazione dei diritti costituzionali di associazione di cui all’art. 18 della Carta, del diritto al lavoro di cui agli artt. 4 e 35 e dell’art. 41 che tutela il diritto di iniziativa economica privata. Dopo aver proceduto ad una sintetica illustrazione del contenuto dei due decreti impugnati, parte ricorrente si interroga circa l’opportunità di aver stabilito una soglia minima di efficienza rispetto alla maggior parte delle strutture di laboratorio attualmente esistenti sul territorio regionale, le cui dimensioni non avevano impedito di raggiungere soddisfacenti livelli di efficienza ed economicità. Nel dubitare dell’effettiva realizzazione di un risparmio di spesa pubblica è stata poi rappresentata la prospettiva di una situazione di creazione e rafforzamento di posizioni dominanti da parte delle strutture di maggiori dimensioni.
Il motivo è infondato.
Ritiene il Collegio di rinviare a quanto già esposto nell’esame della seconda censura proposta con il primo atto di motivi aggiunti, avente ad oggetto il decreto commissariale n. 45 del 4 luglio 2014, ribadendo che il potere di eterorganizzazione del servizio pubblico sanitario pubblico trova fondamento costituzionale nell’art. 97 della Carta, quale strumento per assicurare imparzialità e buon andamento di attività ricadenti nella titolarità dell’autorità pubblica, come servizi in senso soggettivo, o comunque o da questa regolamentate, ove intese in senso oggettivo; in ogni caso, tale compito organizzativo è stato oggetto di espressa previsione legislativa nazionale, come fonte regolativa di potestà concorrente, dall’art.1, comma 796, lettera o) della legge n. 296 del 2006. Avuto riguardo, alla lesione di diritti costituzionali della persona, quanto all’art. 41 della Costituzione, è sufficiente rinviare alle considerazioni espresse a proposito dell’esame della seconda censura proposta con il primo atto di motivi aggiunti; riguardo alla compressione del diritto al lavoro, va evidenziato come ogni valutazione di incidenza del riassetto della rete laboratoristica sugli attuali livelli occupazionali, criticità tra l’altro solo ipoteticamente prospettata, costituisce ambito di ampia valutazione discrezionale riservata all’amministrazione, nel quale, tra l’altro, confluiscono altri fondamentali valori costituzionali, quali il diritto alla salute in corrispondenza di un’adeguata offerta di prestazioni sanitarie, nonché esigenze di contenimento del debito pubblico ai sensi dell’art. 97, primo comma della Carta; in altri termini, a fini di legittimità sostanziale dell’azione organizzativa censurata non è sufficiente denunciare un effetto di contrazione dell’offerta di lavoro, essendo ogni giudizio di prevalenza di altri interessi costituzionali interferenti rimesso ad insindacabili scelte dell’autorità. Ancora, non sussiste alcuna violazione dell’art. 18, essendo quello di libera associazione un diritto fondamentale della persona, non riferibile a forme solidali di organizzazione di attività lavorativa o d’impresa, le quali ricadono piuttosto nell’ambito dell’art. 41 della Carta, di cui si è già trattato.
Infine, anche la contestata opportunità di ricorrere ad una soglia minima di efficienza, così come la sussistenza di perplessità in ordine all’effettiva realizzazione di un risparmio di spesa, costituiscono profili inerenti all’opportunità delle scelte compiute ed ai risultati dell’azione organizzativa, come tali sottratti ad un sindacato giurisdizionale di merito ma ex ante non implausibili ed ascrivibili ai criteri di economicità e di efficacia individuati dall’art. 1 l. n. 241/1990; invece, la determinazione per effetto del nuovo sistema di possibili forme di posizione dominante nel mercato costituisce, allo stato, una mera eventualità, al cui insorgere ben potranno le autorità competenti porre idoneo rimedio in aggiunta alle prescrizioni già adottate.
Con il secondo motivo aggiunto è contestato che il nuovo assetto organizzativo finisce per svilire i principi di centralità del paziente e di appropriatezza, a causa dello scadimento della qualità delle attività di analisi conseguente alla separazione tra punto di prelievo dal laboratorio; il nuovo sistema non definendo meccanismi e modalità di aggregazione finirebbe poi per danneggiare i piccoli laboratori interessati dall’accorpamento, favorendo la creazione di posizioni dominanti nel mercato di riferimento.
Avuto riguardo al decreto n. 8 del 16 febbraio 2016 di fissazione dei limiti di spesa, se ne contesta l’adozione tardiva dopo l’anno solare di riferimento, ossia il 2015, nonché l’inidoneità del richiamo all’anno 2014 per il calcolo del tetto di struttura, dovendo un corretto uso del potere di programmazione della spesa sanitaria riferirsi a budget di branca fondato sul fabbisogno riferito alla specificità e qualità delle attività prestate dalle strutture erogatrici. Parte ricorrente, nel contestare anche la ripartizione del tetto di spesa in dodicesimi e la sussistenza di una clausola di salvaguardia, pur assumendo che il decreto sarebbe stato superato da due circolari commissariali, insiste nella declaratoria di nullità, restando comunque ferme le problematiche sugli incrementi e sulla clausola di salvaguardia.
La censura non è meritevole di accoglimento.
Quanto allo scadimento della qualità dell’attività analitica come conseguenza tout court della decontestualizzazione tra attività di analisi e attività pre e post analitica, trattasi di circostanza non dimostrata in questa sede, pertanto inidonea a supportare un’ipotesi di cattivo uso del potere discrezionale di eteroorganizzazione; inoltre, la denunciata assenza di una disciplina dei rapporti interni alla struttura aggregata si rivela non meritevole di accoglimento, atteso che già il decreto commissariale n. 59 del 29 maggio 2015 ne aveva disciplinato aspetti fondamentali in tal senso, ponendo limiti di partecipazione, di operatività territoriale e di durata, finalizzati a scongiurare possibili distorsioni di mercato; non va dimenticato che, comunque, la capacità di autorganizzazione ricade pur sempre nell’ambito della libertà negoziale e d’impresa, per cui non è irragionevole o scorretto per l’amministrazione che organizza un servizio pubblico riconoscere tale autonomia, fatti salvi, ovviamente poteri di intervento repressivi e correttivi, ove in futuro necessari, sia come regole di carattere generale, sia come misure specifiche per eliminare possibili situazioni di acquisizione di posizioni dominanti nel mercato.
Riguardo alle censure relative al decreto n. 8 del 16 febbraio 2016 con riferimento alla retroattività dei tetti di spesa rispetto all’anno 2015 è sufficiente rinviare a quanto ritenuto in giurisprudenza secondo cui «sono legittime le determinazioni regionali che fissano in corso d’anno, con effetto retroattivo dall’inizio dell’anno, tetti massimi di spesa con riguardo alle prestazioni sanitarie già rese dalle strutture private accreditate; le strutture private, fino a quando non venga adottato un provvedimento definitivo di determinazione del tetto dispesa, ben possono fare affidamento sull’entità della spesa dell’anno precedente, diminuita dell’ammontare corrispondente alla quota di riduzione della spesa sanitaria stabilita dalle norme finanziarie per l’anno in corso» (da ultimo, Consiglio di Stato III Sezione nn. 3801/2016, 2049/2015 e 6065/2014 con richiamo ad Adunanza Plenaria, 12 aprile 2012 nn. 3 e 4).
Improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse è poi la censura relativa alla introduzione da parte del decreto commissariale n. 8 dell’ 8 febbraio 2016 di un tetto di spesa individuale per struttura e non più per branca, relativamente alla specialistica ambulatoriale; invero, come evidenziato da parte ricorrente (pagina 14 dei motivi aggiunti) il decreto è stato “provvisoriamente superato con circolare commissariale n. 1617 del 22 marzo 2016, con cui sono stati ripristinati i tetti di branca per la specialistica ambulatoriale, paventandosi contratti biennali”; allo stesso modo, avuto riguardo alla ripartizione in dodicesimi (tetto mensile) con circolare n. 1772 C del 31 marzo 2016 la struttura commissariale ne ha ritenuto l’inapplicabilità ai tetti di branca, privando parte ricorrente di un interesse attuale alla delibazione della relativa censura.
Infine, non sussistendo alcun ulteriore pregiudizio apprezzabile derivante dall’applicazione del decreto n. 8 del 16 febbraio 2016 nei confronti di parte ricorrente, non si ravvisa un interesse attuale all’impugnazione della clausola di salvaguardia di cui all’art. 11 dello schema di contratto; inammissibile per genericità è poi la richiesta di annullamento del decreto riferita a non meglio specificati “incrementi” non disciplinati dalle testè richiamate circolari commissariali.
Con il terzo motivo è contestata la contrarietà al diritto europeo sulla concorrenza del sistema di aggregazione per le strutture al di sotto della soglia minima di efficienza, nonché, per la ASL di Salerno, ove sono ubicate le strutture ricorrenti, è denunciata l’inesistenza di un piano attuativo o di un PAT che definisca i fabbisogni territoriali. E’ altresì contestata l’incongruità dei termini stabiliti nel cronoprogramma di cui al decreto n. 17/2016 rispetto alla necessità di previa conclusione di tutti i procedimenti di accreditamento in corso. Infine, mancherebbe la previsione di ulteriori possibili soluzioni organizzative di aggregazione e di forme e modalità di funzionamento interno di quelle previste.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Invero, dal punto di vista della tutela della concorrenza alcun vulnus è conseguenza del nuovo assetto organizzativo, innanzitutto perché non sussiste alcuna disparità di trattamento tra soggetti aventi le medesime caratteristiche dimensionali e di capacità di erogazione, in secondo luogo perché la riorganizzazione risponde ad esigenze di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica inerente alla erogazione di un servizio pubblico in regime di concessione, che consente, secondo i principi del Trattato di Lisbona, all’autorità amministrativa interna l’introduzione di un più stringente assetto conformativo di ingresso e presenza nel mercato di riferimento; infine, il nuovo sistema non determina l’inesorabile espulsione di operatori economici, ma più esattamente, consente loro di operare in forme di organizzazione maggiormente rispondenti ad esigenze di qualità ed economicità proprie dell’attività di servizio che svolgono in favore della collettività.
Quanto alla doglianza relativa all’assenza di una previa pianificazione attuativa, rileva il Collegio che, ove il rifermento s’intendesse alla mancanza di PAT – Programmi delle Attività Territoriali – aziendali, questi non figurano, nemmeno ove rappresentativi del fabbisogno, tra i criteri fondamentali per la riorganizzazione della rete dei laboratori, così come e specificati al punto 2.2. del decreto commissariale n. 109 del 19 novembre 2013; d’altronde, ciò si spiega con il fatto che il riassetto della rete è concepito in funzione di razionalizzazione del dato di offerta delle prestazioni di medicina di laboratorio, attraverso l’introduzione di nuovi modelli organizzativi, onde salvaguardarne la qualità in vista di obiettivi di contenimento della spesa, ottenibili grazie a future rimodulazioni del regime tariffario; ne consegue che i dati di fabbisogno che esprime la programmazione aziendale attraverso i PAT di cui alla D.G.R.C. 31 dicembre 2001 n. 7301 e prima ancora la D.G.R.C. 3958/2001, in attuazione della previsione nazionale di cui all’art. 8 ter del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 – disposizione che, a ben vedere, impone la verifica di compatibilità in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti solo per quelle di nuova realizzazione – restano fermi e sostanzialmente indifferenti alle novità organizzative introdotte, restando inalterato il rapporto tra domanda ed offerta di siffatta tipologia di prestazioni; a ciò si aggiunga, sempre dal punto di vista qualitativo, che rispetto all’utenza e, quindi, alla domanda, la conservazione in funzione di Spoke dei preesistenti laboratori operanti a livello territoriale, ove sotto la soglia minima, non altera la dimensione distributiva dell’offerta, risolvendosi l’accentramento della sola attività analitica in una vicenda interna alle strutture.
Quanto alla specifica pianificazione attuativa aziendale prevista dall’art. 5 del piano di riassetto introdotto dal decreto n. 109 del 19 novembre 2013, il decreto commissariale n. 17 dell’8 marzo 2016, per quanto possa concernere uno specifico interesse di parte ricorrente nel presente giudizio, ha differito i termini di adeguamento, eliminando ogni possibile profilo di riconducibile a tale ritardo.
Relativamente all’inidoneità del cronoprogamma di cui al decreto n. 17, aspetto superato in punto di interesse dai nuovi termini per l’aggregazione stabiliti dal decreto n. 28 del 27 aprile 2016, ed all’assenza di forme ulteriori di aggregazioni, è sufficiente rinviare a quanto già esposto in occasione della delibazione di tale questione nell’esame di precedenti censure.
Con il quarto motivo aggiunto, dopo aver premesso che la Regione Campania aveva assunto l’idea per cui le aggregazioni dovessero avvenire su base volontaria, parte ricorrente denuncia l’incompetenza del commissario ad introdurre una così radicale modifica del sistema organizzativo della rete dei laboratori di analisi, essendo le sue competenze limitate all’adozione di atti urgenti o indispensabili, altresì evidenziando che, trattandosi di programmazione regionale, avrebbe dovuto essere richiesto il parere consultivo obbligatorio della Commissione Sanità ai sensi dell’art. 23 L.R. n.6/97 e dell’art. 3 L.R. n. 5 del 2009, nonché del parere della Consulta Regionale previsto dall’art. 17 della L.R. n. 5 del 2009.
Il motivo è infondato.
L’art.1 comma 174 della legge 30 dicembre 2004 n. 311, successivamente integrato dall’art.4 del d.l. 1° ottobre 2007 n. 159, convertito in legge 29 novembre 2007 n. 222, aveva introdotto la figura statale del commissario ad acta per l’attuazione di piani di rientro dal disavanzo dei settori sanitari regionali (ipotesi nella quale versava la Regione Campania, in cui vi era stato l’insediamento di tale organo straordinario), competente ad adottare tutti i provvedimenti necessari al ripianamento del deficit di gestione. In merito alla prosecuzione di attività di ripianamento, l’art.2, comma 88 della legge 23 dicembre 2009 n. 191 aveva successivamente previsto che “per le regioni gia’ sottoposte ai piani di rientro e gia’ commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge restano fermi l’assetto della gestione commissariale previgente per la prosecuzione del piano di rientro, secondo programmi operativi, coerenti con gli obiettivi finanziari programmati, predisposti dal commissario ad acta, nonche’ le relative azioni di supporto contabile e gestionale”.
L’art.2 della medesima legge, al comma 83, stabiliva che «il commissario adotta tutte le misure indicate nel piano, nonche’ gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del piano. Il commissario verifica altresi’ la piena ed esatta attuazione del piano a tutti i livelli di governo del sistema sanitario regionale».
Ne discende che, qualificandosi il compito di approvazione da parte delle Regioni di un piano di riorganizzazione della rete laboratoristica – previsto dall’art.1, comma 796, lettera o) della legge n. 296 del 2006 – come espressione della funzione amministrativa di riorganizzazione del servizio sanitario anche con finalità di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, la relativa competenza, ferma restando l’insussistenza di una necessaria competenza legislativa di livello regionale, rientra tra le attribuzioni proprie commissariali, il cui corretto esercizio non impone l’applicazione di forme procedimentali proprie della competenze ordinarie come quelle consultive indicate da parte ricorrente.
Con il quinto motivo aggiunto sono contestate, sotto il profilo della mancata efficienza, le scelte del commissario dal punto di vista dell’incongruità dei tempi di attuazione del riassetto della rete laboratoristica, dell’assenza di una regolamentazione certa relativamente alle modalità di accorpamento e durata e organizzazione dell’aggregazione, nonché della mancata previsione di un contratto di rete tale da consentire a tutti i soggetti che ne fanno parte di conservare la propria soggettività giuridica.
Il motivo non può trovare accoglimento, non solo in quanto prospettato come questione di efficienza e quindi di buon andamento dell’azione amministrativa, le cui determinazioni sono insindacabili in sede giurisdizionale, ma anche per mancanza di un interesse attuale alla decisione riguardo al cronoprogramma, essendo stati i termini di cui all’impugnato decreto commissariale n. 17 del 14 marzo 2016 sostituiti da quelli indicati dal successivo decreto commissariale n. 28 del 27 aprile 2016; con riferimento alle denunciate carenze di disciplina specifica delle strutture interne, come ipotizzato vizio di legittimità, è sufficiente rinviare a quanto già esposto in occasione della delibazione di tale questione nell’esame di precedenti censure.
Con il sesto motivo si denuncia la disparità di trattamento rispetto a strutture di laboratorio mai operanti in regime di accreditamento, ma solo autorizzate all’esercizio di attività privata che pur erogando meno di 70.000 prestazioni, non sono soggette all’obbligo di aggregazione; inoltre, è lamentata l’assenza di motivazione circa la determinazione del costo medio della PEQ in €4,81, oltre che la violazione dell’Accordo Stato Regioni del 23 marzo 2011 che aveva inteso la soglia minima di efficienza come requisito qualitativo e quantitativo e non come valore economico.
La censura non può essere accolta, in ragione del fatto che a scongiurare un’ingiustificata disparità di trattamento milita la netta differenza tra strutture operanti totalmente al di fuori dell’ambito del rapporto di accreditamento ed i laboratori che svolgono la propria attività esclusivamente per conto e con oneri a carico del SSR o che eroghino anche prestazioni in regime privatistico; va evidenziato che fulcro del riassetto della rete laboratoristica è l’effetto di aggregazione che interessa indistintamente quelle strutture che operano sul mercato in regime di accreditamento; il coinvolgimento nella nuova forma organizzativa aggregata estesa anche ad eventuali attività erogate in regime privatistico costituisce un riflesso, una sorta di trascinamento di tale configurazione strutturale a cui la nuova disciplina intende assicurare unitarietà e omogeneità; in altri termini, condizione necessaria e sufficiente perché un laboratorio ricada nell’ambito della riorganizzazione della rete introdotta dagli impugnati decreti commissariali è comunque la sua qualità di soggetto accreditato, condizione soggettiva che, in presenza di requisiti insufficienti per mantenere l’autonomia, impone ad esso l’obbligo di aggregarsi, dando così vita ad una nuova struttura operativa, ferma restando la sua capacità di svolgere anche attività in regime privatistico.
Quanto alla mancata motivazione in ordine ai criteri di calcolo della Prestazione Equivalente (PEQ), osserva il Collegio che tale elemento non costituisce oggetto dell’impugnato decreto n. 17 dell’8 marzo 2016 e che comunque le modalità di calcolo stabilite nel decreto n. 109 del 19 novembre 2013, sono state adeguatamente specificate a pagina 5, punto 5 del decreto commissariale n. 59 del 29 maggio 2015 che ha rideterminato il valore originario stabilito con il decreto n. 45 del 4 luglio 2014. In merito, invece, all’errata applicazione del criterio della soglia minima di efficienza prevista dall’Accordo Stato Regioni del 23 marzo 2011, è sufficiente rinviare a quanto già esposto in occasione dell’esame del primo motivo aggiunto proposto avverso il decreto commissariale n. 45 del 4 luglio 2015.
Nel settimo motivo, si contesta la mancata previsione di una disciplina sulle strutture già accreditate ma sotto soglia; si reitera poi la doglianza relativa all’inadeguatezza del sistema organizzativo dal punto di vista della scarsa qualità di alcune tipologie di analisi conseguente alla distanza esistente tra punto di prelievo del campione e laboratorio in cui eseguire l’attività analitica.
Osserva il Collegio che, lungi dal configurarsi una carenza di disciplina, l’ aspetto fondamentale della nuova configurazione delle rete laboratoristica riguarda proprio i laboratori sotto la soglia minima di efficienza, per i quali è stata prescritta una specifica forma organizzativa aggregata; avuto, poi, riguardo all’asserita inidoneità del nuovo sistema organizzativo rispetto al mantenimento di un adeguato livello qualitativo di determinate tipologie di analisi di laboratorio, trattasi di affermazioni non dimostrate in questa sede come possibile vizio di eccesso di potere per errore di fatto o di illogicità manifesta, ricadendo ogni ulteriore valutazione nell’ambito insindacabile del merito della scelta compiuta dall’autorità commissariale.
Infine, si rappresenta l’impossibilità di realizzare economie di sistema e si denunciano l’assenza di disciplina specifica per i rapporti interni alle aggregazioni (recesso, stato giuridico economico rispetto al SSR), nonché la mancata previsione di regimi eccezionali per analisi indifferibili ed urgenti, oltre ad un regolamento attuativo delle aggregazioni da parte della ASL Salerno.
La censura non può trovare accoglimento, innanzitutto in quanto prospetta questioni insindacabili in questa sede, in quanto afferiscono ai risultati dell’azione organizzativa contestata, dal punto di vista dei vantaggi economici attesi; quanto alla carenza di disciplina interna si ribadisce che ampio spazio è stato rimesso all’autonomia privata e che, comunque, sono state prescritte modalità, durata e limiti alle strutture aggregate, tali da assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico di evitare nel mercato delle prestazioni di medicina di laboratorio possibili distorsioni della concorrenza e nascita di posizioni dominanti; va poi ribadito il concetto di non configurabilità di ragioni di illegittimità di un provvedimento di tale ampia portata solo perché non regolato tutti gli aspetti possibili interessanti il suo oggetto.
Con il terzo atto di motivi aggiunti è stato impugnato il decreto commissariale n. 28 del 27 aprile 2016.
Al riguardo sono stati proposti tre motivi di impugnazione e svolte ulteriori considerazioni critiche, suddivise in sei sezioni.
Con il primo motivo aggiunto è lamentata l’illegittimità della previsione contenuta nel decreto commissariale impugnato per cui la mancata tempestiva comunicazione della volontà di aggregarsi da parte della struttura di laboratorio con un numero di prestazioni inferiore a 70.000 ne determinerebbe la decadenza dal rapporto di accreditamento istituzionale.
Il motivo è inammissibile per genericità, atteso che parte ricorrente, a pagina 6 dell’atto di motivi aggiunti, si limita testualmente ad affermare che «detta statuizione del commissario ad acta determina altresì in maniera illegittima e con evidente eccesso di potere la previsione della decadenza dal SSN di strutture autorizzate e definitivamente accreditate, già a partire dal 16 aprile 2016, termine, quest’ultimo, prorogato dal decreto n. 28 al 16 ottobre 2016»: va osservato che la questione, oltre ad essere riferita ad altro provvedimento commissariale, segnatamente il decreto n. 17 dell’8 marzo 2016, , non è comunque assistita dalla rappresentazione di concrete ragioni su cui si fonderebbe la sussistenza del vizio, apparendo la censura come un’affermazione priva di allegazione probatoria, in violazione di quanto previsto dall’art. 40, primo comma, lettera c) del c.p.a.
Con il secondo motivo è dedotta l’incompetenza del commissario ad introdurre una così radicale modifica del sistema organizzativo della rete dei laboratori di analisi, essendo le sue competenze limitate all’adozione di atti urgenti o indispensabili, mentre soggetto titolare di compiti di programmazione sarebbe la Regione Campania che, nel caso di specie, aveva inteso che eventuali accorpamenti avrebbero potuto essere fatti solo su base volontaria.
Il motivo è infondato ed al riguardo basta rinviare a quanto già esposto in occasione dell’esame del quarto motivo del secondo atto di motivi aggiunti.
Con la terza censura è stata lamentata l’assenza di piani attuativi aziendali, sebbene prescritti entro il termine del 15 ottobre 2015 dal DCA n. 59/2015.
Il motivo non è meritevole di accoglimento, non solo perché si riferisce ad una criticità sollevata con riferimento al precedente decreto commissariale n. 17 dell’ 8 marzo 2016, senza che sia stato rappresentato che tale situazione tuttora permanga, ma anche perché il decreto n. 28 del 27 aprile 2016 ha, a sua volta differito, i termini di cui al cronoprogramma di aggregazione, scongiurando ogni possibile sua attuale lesività per parte ricorrente, ascrivibile all’assenza della pianificazione attuativa aziendale di cui all’art. 5 del piano di riassetto.
Nella sezione A) parte ricorrente lamenta, quindi, la contraddittorietà del decreto commissariale impugnato rispetto al decreto n. 109/2013 che aveva comunque consentito l’ipotesi di esecuzione in forma non di aggregazione per analisi indifferibili in cui il trasporto del campione avrebbe potuto alterarne il risultato. Inoltre, il decreto, per quelle strutture che non avessero inteso fruire della proroga dei termini, aveva previsto che nel procedimento di aggregazione la fase dell’autorizzazione alla realizzazione, pur rimanendo distinta, sarebbe stata inclusa in quella dell’autorizzazione all’esercizio; ciò sarebbe in contrasto con la normativa in materia autorizzatoria di cui alla D.G.R.C. n. 3958 del 2001 che impone sia per la realizzazione che per l’esercizio di attività sanitarie una verifica di compatibilità con il fabbisogno territoriale e con esigenze di distribuzione delle strutture erogatrici a livello locale.
Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio che il decreto commissariale n. 28 del 27 aprile 2016 non contiene alcuna disposizione in contrasto con quella del decreto n. 109 del 19 novembre 2013, essendo a tale fine sufficiente evidenziare come la disciplina di quest’ultimo sia stata espressamente confermata, ovviamente ad eccezione degli elementi nuovi, quali la proroga dei termini di cui al cronoprogramma, e di quelli strettamente esecutivi, quali l’individuazione di quelle specifiche strutture di laboratorio che fruiscono della deroga all’obbligo di aggregazione. In ogni caso, circa i requisiti tecnologici di cui a pagina 41 del decreto n. 109 del 19 novembre 2013, è specificamente previsto che «qualora il punto prelievo debba eseguire esami non differibili e il cui trasporto possa alterare il risultato dell’esame lo stesso deve essere in possesso dei requisiti tecnologici del laboratorio di base di cui al precedente punto 6.1.1 – ossia i requisiti tecnologici minimi – limitatamente alle suddette tipologie di esami. Deve essere altresì presente l’attrezzatura essenziale per la gestione delle emergenze (rianimazione cardiopolmonare di base) di cui è controllata periodicamente la funzionalità». Trattasi di disposizione che, lungi dall’essere contraddetta o superata da successivi decreti commissariali, assolve proprio alla funzione di assicurare qualità alla prestazione analitica nelle ipotesi in cui il nuovo assetto organizzativo non si riveli adeguato.
Con riferimento al secondo aspetto, va osservato che il decreto n.109 del 19 novembre 2013, anche con effetti a valere su quelli successivi, all’art. 7 del piano stabilisce che «sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con quella oggetto del presente provvedimento.
In particolare, sono abrogate, nelle parti in cui sono in contrasto col presente provvedimento, le seguenti disposizioni: DGRC 377/1998 e s.m.i, DGRC 3958/2001 e s.m.i, Regolamento n.1/2007 e s.m.i., Decreto Commissariale 19/2012 e s.m.i»; ne consegue che in ipotesi di discipline contrastanti la sola applicabile, anche per effetto di abrogazione implicita, sarà quella relativa alla nuova configurazione organizzativa; va anche richiamato quanto già esposto circa la rilevanza meramente “interna” del nuovo assetto di aggregazione, operando lo stesso a prescindere dalla domanda di prestazioni di analisi di laboratorio proveniente dal territorio, in termini di fabbisogno.
Nella Sezione B) si deduce che ragione di illegittimità sarebbe costituita dall’apodittica realizzazione di economie di scala, che si pretenderebbero essere assicurate dal nuovo sistema di centralizzazione dell’attività analitica; al riguardo, nessun concreto elemento a supporto sarebbe rinvenibile nella documentazione sottesa ai decreti commissariali impugnati, incluso quello oggetto dei motivi aggiunti.
La censura è inammissibile, in quanto sottratta al sindacato giurisdizionale, trattandosi di questione di merito afferente ai risultati dell’azione organizzativa contestata, tuttavia da considerarsi ex ante non implausibile ed ascrivibile ai criteri di economicità e di efficacia individuati dall’art. 1 l. n. 241/1990.
Nella Sezione C) parte ricorrente contesta l’introduzione di una soglia minima di efficienza, come ulteriore requisito di pre-accreditamento, senza che si sia tenuto conto del contesto territoriale in cui opera la specifica struttura; né l’amministrazione avrebbe illustrato quale sarebbe il beneficio economico in termini di rientro, atteso che comunque, il prezzo delle prestazioni di analisi di laboratorio erogate in regime di accreditamento resta prefissato in base al vigente tariffario regionale.
Osserva in proposito il Collegio che la soglia minima di efficienza costituisce un dato storico esprimente la capacità operativa di una determinata struttura di laboratorio, calcolata in base a dati di fatturato che, come tali, sono certamente riconducibili anche alla domanda di prestazioni di medicina di laboratorio proveniente proprio dal territorio di appartenenza; ove inteso come riferito alla mancata relazione della nuova rete con il fabbisogno di prestazioni di medicina di laboratorio, si è già rilevato come, per come è configurato nei provvedimenti impugnati, il nuovo assetto è concepito solo per incidere sull’organizzazione dei compiti interni alle strutture, fermo restando il rapporto tra domanda ed offerta di prestazioni.
La contestazione circa la realizzazione di obiettivi di risparmio di spesa è inammissibile in quanto ricade nel merito della decisione amministrativa; comunque, è di tutta evidenza che minori costi di erogazione della prestazione saranno ragionevolmente destinati ad incidere in senso diminutivo anche sui valori tariffari di cui costituiscono fondamentale voce costitutiva.
Nella Sezione D) si denuncia l’omessa valutazione rispetto alla legge Finanziaria nazionale del 2007 degli adeguamenti tecnologici e professionali dei laboratori per soddisfare i nuovi criteri di accreditamento, condizione che aveva dato vita ad una rete di erogazione del servizio idonea ad assicurare alti livelli assistenziali. A tale fine, è richiesta una relazione intesa a dare conoscenza della intervenuta partecipazione al procedimento delle OO.SS. della branca di patologia clinica e delle strutture interessate.
Anche tale questione in realtà sottende un sindacato sull’opportunità della scelta organizzativa compiuta; tuttavia è sufficiente osservare come, ferma restando per l’amministrazione la possibilità giuridica di individuare una soglia di sbarramento al di sotto della quale sia possibile conformare la forma organizzativa e la capacità operativa di un laboratorio, quanto dallo stesso posseduto, e già necessario per erogare prestazioni di medicina di laboratorio secondo il precedente assetto organizzativo, non va affatto perduto, trattandosi di un patrimonio di risorse che accompagna il soggetto anche nel nuovo sistema, sebbene non più operante in forma autonoma
Con la Sezione E) viene lamentata l’assenza di una pur indispensabile regolamentazione interna ai soggetti aggregati, tale da assicurare effettivamente la qualità del servizio, anche alla luce del fatto che il nuovo sistema tenderà ad incidere negativamente ed illegittimamente sul principio di libera concorrenza, di fatto determinando forti concentrazioni di mercato in favore di pochi soggetti titolari dei laboratori di analisi (HUB), in corrispondenza con la scomparsa economica e giuridica delle piccole realtà fino a quel momento esistenti e legittimamente operanti nel settore delle analisi di laboratorio.
La censura non è meritevole di accoglimento, alla luce delle già esposte ragioni di rispetto dell’autonomia negoziale degli operatori, nonché di esistenza nella disciplina di riassetto della rete dei laboratori di prescrizioni recanti limiti soggettivi di partecipazione, di durata e di operatività a livello territoriale delle strutture aggregate, volte a scongiurare il formarsi di posizioni dominanti di mercato.
Con la Sezione F) è dedotta la carenza di efficienza e la disparità di trattamento per i pazienti che necessitano di alcune specifiche categorie analisi le cui condizioni di esecuzione richiedono tempi talmente brevi per cui il prelievo non può che avvenire presso l’HUB, sebbene posto a notevole distanza chilometrica.
La censura, seppur volta a denunciare apprezzabili esigenze di tutela della qualità prestazionale, non può trovare accoglimento allo stato, non risultando certo – al di fuori di analisi indifferibili già oggetto di specifica attenzione da parte del decreto n. 109 del 19 novembre 2013, come esaminato in precedenza – che il mero fenomeno di aggregazione determinerà, come effetto generale ed indifferenziato, condizioni logistiche incompatibili con la qualità dell’attività analitica, come avrebbe potuto essere dimostrato ove, per ipotesi, fosse stata imposta una distanza minima incompatibile tra gli spoke e l’Hub di riferimento; solo una volta definito concretamente il quadro distributivo della rete sarà possibile verificarne l’incidenza concreta sul fabbisogno territoriale e la qualità dell’attività, in termini di risultati dell’azione.
Con il quarto ed ultimo atto di motivi aggiunti le ricorrenti hanno impugnato il decreto commissariale n. 83 del 26 luglio 2016, proponendo quattro motivi di impugnazione, di cui il terzo distinto in tre sezioni.
Con la prima censura, dopo aver descritto il contenuto precettivo del decreto con riferimento alla disciplina autorizzatoria per gli hub e per gli spoke, i ricorrenti hanno sostanzialmente riproposto quanto illustrato con il primo motivo del terzo atto di motivi aggiunti, in termini di forte lesività del nuovo sistema per l’esercizio della propria attività professionale, in quanto strutture già accreditate.
La censura è inammissibile per genericità ai sensi dell’art. 40, primo comma, lettera c) del c.p.a., risultando del tutto aspecifico censurare il decreto commissariale impugnato per il solo fatto che i precedenti siano ancora sub judice.
Con il secondo motivo aggiunto è stata riproposta la censura di incompetenza del commissario di cui al secondo motivo del terzo atto di motivi aggiunti, evidenziando che trattandosi di programmazione regionale, avrebbe dovuto essere richiesto il parere consultivo obbligatorio della commissione sanità ai sensi dell’art. 23 L.R. n.6/97 e dell’art. 3 L.R. n. 5 del 2009, nonché del parere della Consulta Regionale previsto dall’art. 17 della L.R. n. 5 del 2009.
Pertanto, se ne dichiara l’infondatezza, richiamando le considerazioni già espresse in precedenza.
Con il terzo motivo aggiunto, alla Sezione A, è stata innanzitutto riproposta la censura di mancanza dei piani attuativi aziendali di cui al terzo motivo del terzo atto di motivi aggiunti, aggiungendo la violazione dei livelli essenziali di assistenza.
E’ quindi sufficiente rinviare a quanto già illustrato a proposito dell’esame di identica censura, evidenziando come parte ricorrente non abbia specificato, né dimostrato la ragione per cui il nuovo assetto violerebbe i livelli essenziali di assistenza.
Nella sezione B parte ricorrente reitera la censura di contrarietà rispetto alla D.G.R.C. n. 3958 del 2001 della previsione di far ricorso alla segnalazione certificata di inizio attività, prescindendo dal rilascio di specifica autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio, provvedimenti che devono essere preceduti, anche al fine del rilascio di titoli edilizi, da una verifica di compatibilità della struttura da realizzare, trasferire o trasformare con il fabbisogno locale di prestazioni sanitarie.
Con riferimento a tale aspetto va richiamato non solo quanto già rappresentato a proposito dell’abrogazione della D.G.R.C. n. 3958 del 2001 ad opera dell’art. 7 del decreto n.109 del 19 novembre 2013, con effetti a valere anche sui successivi provvedimenti commissariali in materia, ma anche le considerazioni espresse circa la rilevanza meramente “interna” del nuovo assetto di aggregazione, che prescinde dalla domanda di prestazioni di analisi di laboratorio proveniente dal territorio, in termini di fabbisogno.
Nella Sezione C è poi denunciata la contraddittorietà tra effetto di azzeramento dei precedenti titoli autorizzatori e di accreditamento posseduti dalle strutture di laboratorio e la conservazione della loro rilevanza al fine di fare ingresso nel nuovo regime, come presupposto legittimante il ricorso all’istituto della segnalazione certificata di inizio attività sia per gli Spoke che per gli Hub, attesa la già verificata compatibilità con il fabbisogno.
La censura è priva di pregio, dal momento che, come già in precedenza evidenziato, il transito e l’ingresso dei laboratori preesistenti nel nuovo sistema organizzativo non azzera affatto i precedenti titoli di autorizzazione ed accreditamento, essendo gli stessi requisiti necessari anche nel nuovo regime, secondo una logica di sostanziale continuità, ferma restando, tuttavia, l’esigenza di un loro aggiornamento in termini a fini di compatiblità con il nuovo assetto di rete.
Con il quarto motivo è riproposto il vizio di cui al quarto motivo del terzo atto di motivi aggiunti, relativamente all’assenza di un beneficio economico ritraibile dalla riforma e la mancanza di una verifica rispetto al fabbisogno a livello locale, aggiungendosi un profilo di ingiustificata disparità di trattamento dei laboratori costretti ad aggregarsi rispetto a quelle strutture che operano solo privatamente, ma comunque al di sotto della soglia minima di efficienza.
Il motivo è infondato.
Relativamente alla mancanza di favorevoli ricadute economiche, si è già evidenziato che si tratta di una questione che, riguardando il risultato dell’azione, ricade nel merito insindacabile della scelta operata; anche in riferimento alla mancata verifica del fabbisogno è sufficiente rinviare a quanto già evidenziato a proposito della precondizioni di operatività del riassetto della rete laboratoristica, in cui la domanda di prestazioni, non è destinata ad incidere sull’obbligo di aggregazione.
Quanto, infine, alla denunciata disparità di trattamento, è sufficiente rinviare, a fini di reiezione, alle considerazioni svolte in occasione dell’esame del sesto motivo aggiunto di ricorso proposto per l’annullamento del decreto commissariale n. 17 dell’8 marzo 2016.
In conclusione il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere in parte dichiarati improcedibili, in parte dichiarati inammissibili e in parte respinti, con integrale compensazione delle spese processuali tra tutte le parti, in considerazione della novità e complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti come in epigrafe proposti, in parte li dichiara improcedibili, in parte li dichiara inammissibili e in parte li respinge, nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Salvatore Veneziano, Presidente
Paolo Corciulo, Consigliere, Estensore
Ida Raiola, Consigliere
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Paolo Corciulo |
Salvatore Veneziano |
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IL SEGRETARIO
Nella sezione A) parte ricorrente lamenta, quindi, la contraddittorietà del decreto commissariale impugnato rispetto al decreto n. 109/2013 che aveva comunque consentito l’ipotesi di esecuzione in forma non di aggregazione per analisi indifferibili in cui il trasporto del campione avrebbe potuto alterarne il risultato. Inoltre, il decreto, per quelle strutture che non avessero inteso fruire della proroga dei termini, aveva previsto che nel procedimento di aggregazione la fase dell’autorizzazione alla realizzazione, pur rimanendo distinta, sarebbe stata inclusa in quella dell’autorizzazione all’esercizio; ciò sarebbe in contrasto con la normativa in materia autorizzatoria di cui alla D.G.R.C. n. 3958 del 2001 che impone sia per la realizzazione che per l’esercizio di attività sanitarie una verifica di compatibilità con il fabbisogno territoriale e con esigenze di distribuzione delle strutture erogatrici a livello locale.
Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio che il decreto commissariale n. 28 del 27 aprile 2016 non contiene alcuna disposizione in contrasto con quella del decreto n. 109 del 19 novembre 2013, essendo a tale fine sufficiente evidenziare come la disciplina di quest’ultimo sia stata espressamente confermata, ovviamente ad eccezione degli elementi nuovi, quali la proroga dei termini di cui al cronoprogramma, e di quelli strettamente esecutivi, quali l’individuazione di quelle specifiche strutture di laboratorio che fruiscono della deroga all’obbligo di aggregazione. In ogni caso, circa i requisiti tecnologici di cui a pagina 41 del decreto n. 109 del 19 novembre 2013, è specificamente previsto che «qualora il punto prelievo debba eseguire esami non differibili e il cui trasporto possa alterare il risultato dell’esame lo stesso deve essere in possesso dei requisiti tecnologici del laboratorio di base di cui al precedente punto 6.1.1 – ossia i requisiti tecnologici minimi – limitatamente alle suddette tipologie di esami. Deve essere altresì presente l’attrezzatura essenziale per la gestione delle emergenze (rianimazione cardiopolmonare di base) di cui è controllata periodicamente la funzionalità». Trattasi di disposizione che, lungi dall’essere contraddetta o superata da successivi decreti commissariali, assolve proprio alla funzione di assicurare qualità alla prestazione analitica nelle ipotesi in cui il nuovo assetto organizzativo non si riveli adeguato.